Le moderne tecniche di chirurgia refrattiva trovano i primi fondamenti concettuali nei lavori di Josè Ignacio Barraquer, pioniere della chirurgia corneale e precursore dell’attuale Lasik, già negli anni ’60 del secolo scorso.
Barraquer aveva ideato uno speciale tornio con il quale modificava la curvatura corneale per permettere al paziente di mettere a fuoco le immagini senza occhiali.
Naturalmente vi erano dei limiti tecnologici e l'intervento era piuttosto invasivo e spesso impreciso, tuttavia questa procedura ispirò Sato e Fyodorov che perfezionarono la cheratotomia radiale: anche questa tecnica aveva l'obiettivo di mutare la curvatura corneale, stavolta con delle incisioni manuali a raggiera.
In questo caso i limiti erano rappresentati dalla inevitabile imprecisione, con tagli lievemente irregolari e diversi tra loro che potevano originare astigmatismo irregolare e sfiancamenti, e dalla frequente regressione parziale con ricomparsa di parte del difetto iniziale.
Attualmente questa tecnica è usata solo in casi eccezionali con indicazioni specifiche.
I progressi tecnologici hanno poi apportato costanti miglioramenti nelle prestazioni dei laser mentre l’esperienza clinica via via sempre più ampia permette al chirurgo serio di capire sempre meglio i vantaggi e al contempo i limiti delle varie tecniche.
Da circa 20 anni, le tecniche laser più efficaci sono due: Lasik e Prk. Esistono poi alcune varianti nelle procedure, le più importanti delle quali sono la Tlct e la Femtolasik.
La correzione di un difetto di vista non è un intervento estetico: oggi l’offerta quasi miracolistica di trattamenti, soprattutto tramite internet e altri canali pubblicitari, conseguenza della crescente domanda da parte dei pazienti, crea spesso disinformazione e false illusioni.
È opportuno sottolineare che si tratta di interventi terapeutici, volti a rendere il soggetto autonomo da occhiali o lenti a contatto: per raggiungere questo obiettivo sono necessari esami clinici sofisticati, macchinari laser moderni ed efficienti e serietà e correttezza da parte del chirurgo, oltre alla sua esperienza.
Il compito del chirurgo deve essere quello di spiegare comprensibilmente i vari aspetti del problema e le possibili soluzioni, e di ascoltare e seguire con disponibilità il paziente nelle varie fasi del rapporto, che è soprattutto un rapporto umano.
Ciò premesso, occorre ricordare che ogni caso è unico e va valutato con attenzione prima di decidere insieme la soluzione più adatta, che può anche essere quella di non effettuare alcun intervento se l’occhio non risulta idoneo o non si prevede un esito favorevole.
A circa 20 anni dal loro esordio si può affermare che le tecniche laser hanno raggiunto un livello molto alto di sicurezza ed efficacia, grazie anche alla continua evoluzione tecnologica e al miglioramento costante dei software di calcolo dei laser.
Per ottenere però un risultato ottimale ed eliminare il più possibile i rischi di insuccesso, è indispensabile valutare l'idoneità dei singoli occhi a essere sottoposti a un trattamento laser-refrattivo: questo giudizio è il compito più delicato del chirurgo ed è il passo più importante dell'intero procedimento.
Se non ci sono i requisiti necessari l'intervento non deve essere effettuato, per il rischio di non raggiungere il risultato previsto o addirittura di creare un danno alla cornea.
I requisiti da soddisfare sono essenzialmente due: uno spessore corneale sufficiente e un profilo di curvatura regolare.
Il chirurgo effettua dunque la pachimetria e la topografia corneale: si tratta di esami non invasivi eseguibili in studio, la cui interpretazione consente di decidere se proporre l'intervento o piuttosto sconsigliarlo.
Molti interventi laser comportano un assottigliamento della cornea per rimodellarne la curvatura e permettere la messa a fuoco delle immagini senza occhiali: naturalmente si tratta di quantità molto modeste (di solito intorno al 10-15 % dello spessore totale) ma se il valore iniziale è inferiore a una certa soglia e i calcoli prevedono uno spessore residuo insufficiente il trattamento laser viene sconsigliato per non indebolire la cornea.
Altrettanto importante è lo studio della curvatura corneale: la topografia è una sorta di fotografia altimetrica della cornea che studia migliaia di singoli punti della superficie e mostra ogni eventuale irregolarità.
Alcune di queste anomalie di profilo possono rivelare la presenza, per esempio, di un cheratocono allo stadio iniziale asintomatico, il che costituisce una controindicazione all'intervento.
Inoltre la topografia fornisce preziosi elementi per il calcolo accurato del trattamento dell'astigmatismo.
Come si vede, il buon esito dell'intervento e il livello di sicurezza dipendono da vari fattori: la perfetta efficienza delle macchine e il loro continuo aggiornamento, gli esami di idoneità che abbiamo descritto, il tenere in conto le esigenze e la personalità del singolo paziente, un'accurata visita specialistica e, forse ancora più importante, un rapporto aperto e diretto in cui il dialogo è fondamentale.
Le diverse tecniche laser utilizzate per la risoluzione dei difetti della vista, possono essere utilizzate per tutti i vari difetti di vista: l'adozione di una strategia in particolare spetta al chirurgo dopo attenta valutazione delle caratteristiche dell'occhio del singolo paziente e dell'entità del difetto refrattivo.
Esistono diversi laser, da usare anche in combinazione (un esempio è la TLCT), che il chirurgo utilizza in base alla loro rispettiva efficacia sui diversi difetti da trattare: oggi è fondamentale avere a disposizione più di un laser per trattare con efficacia e completezza ogni difetto di vista. Non esiste un apparecchio unico in grado di trattare perfettamente tutte le patologie.
Un altro punto importante è la bilateralità degli interventi: spesso viene richiesto all'oculista se non sia rischioso o sconsigliabile operare contemporaneamente i due occhi.
Se gli occhi risultano idonei, e solo allora, è possibile proporre al paziente il trattamento laser: senza questa valutazione qualunque intervento, anche su un solo occhio, sarebbe rischioso.
Al contrario, il fatto che si tratta di interventi di superficie senza rischi infettivi e senza alcuna conseguenza per le strutture interne dell'occhio (soprattutto la retina) che non vengono minimamente interessate, ha sempre consentito ai chirurghi di tutto il mondo di correggere i difetti di entrambi gli occhi.
D'altro canto è controproducente e dannoso lasciare il paziente per mesi con una visione molto sbilanciata per la differenza tra i due occhi, quindi in una situazione sicuramente peggiore di quella pre-intervento e con molti limiti alle attività quotidiane.
Infine si deve evitare di sottoporre le persone inutilmente per una seconda volta al piccolo o grande stress emotivo che qualsiasi intervento e qualsiasi sala operatoria provocano di per sè.
Quindi, tranne casi molto particolari, operare un occhio per volta non ha nessuna motivazione clinica e comporta anzi solo problemi al paziente ed è una strategia ingiustificata che viene a volte prospettata per aggiungere altre visite ed altri esami facendo leva sull'emotività delle persone.
Il laser a eccimeri nasce alla fine degli anni '70 quando un gruppo di fisici ricercatori (Srinivasan, Wynne e Blum) notarono che era possibile incidere con estrema precisione e senza alcun danno per l'area circostante materiali plastici e polimeri per spessori minimi, dell'ordine di pochi micron (millesimi di millimetro).
Il tipo di laser utilizzato fu chiamato ad eccimeri (excimer=excited dimers) perchè sfruttava l'energia di alcune particelle, dette dimeri eccitati, create da uno speciale laser a fluoruro di argon.
La precisione estrema di questa radiazione spinse i ricercatori a provarne l'effetto anche su tessuti biologici (cartilagine, singoli capelli, cornee bovine, persino la cute di uno dei ricercatori il quale non riferì nè dolore nè sensazione di calore!): essi constatarono l'assenza di qualsiasi danno a carico dei tessuti immediatamente circostanti, al contrario degli altri laser che provocano un alone di necrosi o colliquazione.
Questo è fondamentale per la cornea, che deve rimanere sempre perfettamente trasparente per consentire al paziente di vedere.
Nell'immagine a destra è visibile la differenza tra il solco creato dai laser di vecchia generazione e quello creato dal laser a eccimeri, preciso e lineare.
I primi lavori scientifici sul laser a eccimeri furono pubblicati nel 1983 mentre il primo paziente fu sottoposto a trattamento con laser a eccimeri nel 1987.
Il laser a eccimeri è dunque capace con la sua radiazione di modellare la cornea modificandone la curvatura: in tal modo l'occhio riesce a focalizzare permanentemente le immagini sulla retina e non più davanti ad essa (come nella miopia) o dietro (ipermetropia) o su una linea allungata (astigmatismo).
Il profilo di curvatura della cornea e il suo spessore sono dunque i fattori più importanti ai fini del giudizio di idoneità all'intervento: per una cornea irregolare o molto sottile l'intervento laser è controindicato.